La cucina materana
La cucina tradizionale di Matera è fatta di verdure, legumi e cereali con un uso economico della carne, consumata principalmente durante le vacanze e in occasioni speciali. Una caratteristica peculiare di Matera è la cucina che viene fatta in molte ricette di pane. Le donne che preparavano il pane (alla pasta) per fare il pane una volta alla settimana, da cui erano fatte. Trombavano (impastavano) l’impasto del pane due volte alla settimana per produrre pani che potevano raggiungere un peso di 5 chilogrammi. Date le dimensioni e la quantità, è stato facile accumulare pane raffermo dai giorni precedenti, è stato usato per preparare ricette particolari che richiedevano.
Il più comune dei piatti tipici di Matera a base di pane è Cialledda, freddo per l’estate e caldo per l’inverno, una zuppa di pane molto apprezzata dalla gente di Matera sia nelle versioni estiva, fredda, che invernale (calda).
La cucina di Matera, ancora oggi, è una cucina semplice che utilizza le materie prime che la zona offre. Le colture predominanti nella campagna di Matera sono le coltivazioni di cereali e ulivi mentre l’allevamento è principalmente di tipo caprino-pecora. A questi si aggiungono le colture orticole e anche una vasta gamma di alimenti che si trovano in natura, come le lumache, i frutti selvatici e gli ortaggi di cui il popolo materano ha sempre fatto ampio uso e che raccoglievano nelle campagne intorno a Matera o sulla vicina Murge, una vasta area calcarea che Matera condivide con quella pugliese. Cicerielle, sivoni, cimalaponi, varie erbe aromatiche e curative, tuberi, funghi e frutti selvatici erano tutti elementi molto presenti sulle tavole dei Materani.
Qui, come nel resto d’Italia negli anni Cinquanta, si mangia poco di carne, era un cibo consumato principalmente durante il periodo di carnevale, il sabato sera nei Ciddari e la domenica (per chi poteva permetterselo) in ragù o arrostito sulle braci.
I Ciddari erano cantine tradizionali (probabilmente dal latino cellarius), all’epoca ce n’erano diversi nei Sassi. Oggi sono quasi scomparsi, alcuni sono diventati taverne o ristoranti, ma ce ne sono alcuni privati che vengono usati occasionalmente per la famiglia o gli amici.
Le cantine erano luoghi di socializzazione esclusivamente maschili in cui veniva venduto il vino naturalmente ammassato e dove era possibile consumare la carne arrostita con le cipolle che i numerosi macellai presenti in Via delle Beccherie preparavano nella propria stufa, all’interno dei cartocci, una peculiarità di caratteristica stradina nel centro storico di Matera.
Nella cultura materana il consumo di carne, come tutto il cibo, era governato dai cicli naturali delle stagioni e della vita. Non molto diversamente dai loro predecessori preistorici, i pastori materani avevano anche bisogno di togliere i maschi in eccesso dal gregge di pecore per evitare problemi. Il becco, il maschio della pecora o della capra dovevano essere eliminati e portati alla macelleria dove spesso era l’unica carne in vendita; da qui il nome di via delle Beccherie u’v’c rin in dialetto di Matera.
A volte accadeva, specialmente in estate, che a causa delle orecchie secche di grano di cui le pecore erano avide, alcune di queste morivano e approfittavano di questi incidenti per dar loro da mangiare occasionalmente. Con la carne di queste pecore in particolare, è stata realizzata la Pignata, altro importante piatto della tradizione agro-pastorale materana.
Il carnevale era il periodo dell’anno in cui si mangiava più carne, non a caso questa festa coincide con il periodo in cui il maiale viene ucciso e con la pausa invernale delle opere nei campi. In questo periodo dell’anno i contadini approfittavano della festa per mangiare carne, salsiccia o patata per entrare in vigore in previsione dei pesanti lavori estivi che li attendevano nei campi durante i mesi estivi. Il carnevale è iniziato con i fuochi di Sant’Antonio e si è concluso con il Mardi Gras. La festa consisteva in una ricerca che veniva portata nelle case, e la canzone che suonava si chiamava Cupa Cupa, come lo strumento musicale usato durante la festa, un tamburo a frizione. La Cupa Cupa ha accompagnato la folla felice durante la ricerca, ci siamo incontrati a tarda sera (dopo il tramonto, quando di solito andavamo a dormire a Matera) per portare la serenata a casa di coloro che erano noti per aver ucciso il maiale. Arrivò in silenzio vicino alla casa della vittima e fu chiamato ad alta voce; non appena è apparsa, è iniziato il suono dell’oscurità cupa e il povero uomo sapeva già cosa doveva fare. Nel frattempo i disgraziati si sono dati un set e hanno preparato il tavolo, davanti alla porta hanno continuato a suonare e cantare le lodi della famiglia in rima.
Spesso si trattava di prese in giro inframmezzate dalle note della cupa Cupa, una canzone in rima che invita la padrona ad aprire la porta per preparare vino e salsiccia. Dopo aver offerto ai suoi ospiti delle olive, un po ’di salsiccia, una soppressata innaffiata con abbondante vino rosso, l’ospite si unì alla allegra brigata e andò a portare un’altra Cupa Cupa in qualche altro fortunato abitante dei Sassi.